24 febbraio 2009

E siamo a quota tre...

Quando ha conquistato la Casa Bianca Wall Street è crollata. Quando è stato presentato il piano economico del nuovo governo Wall Street è crollata. Ed eravamo a quota due. Ieri è arrivato il "tris": l'amministrazione americana ha fatto capire di pensare ad una possibile parziale nazionalizzazione di Citigroup e, puntuale come un orologio svizzero, Wall Street è crollata. Non c'è niente da fare, ogni mossa di Obama viene stroncata dal mercato. Al momento è così e questo è un fatto, pesante come un macigno. E il punto, come ho già avuto modo di scrivere, è che il tema del "feeling" con Wall Street è assolutamente centrale per Obama. Il buon Barack ha vinto le elezioni promettendo proprio di far ripartire l'economia e la Borsa, dunque a questo punto è obbligato a conquistare quella fiducia che il mercato almeno per il momento non pare aver nessuna voglia di concedergli. Vedremo. Nello specifico del caso che ha scatenato i ribassi di ieri, devo dire che personalmente trovo l'ipotesi della nazionalizzazione delle banche semplicemente mostruosa. Roba da far venire l'orticaria. Siamo all'apoteosi di quel pensiero neo-statalista che se trovasse piena realizzazione nei fatti penso che nel lungo termine avrebbe effetti ben più devastanti della crisi economica di cui si propone come rimedio. Insomma, la storia della malattia che debilita il malato e della cura che negli effetti collaterali lo ammazza. Anche in Europa in questi giorni si parla di nazionalizzazione delle banche. Ecco, vedendo che sberla Wall Street ha rifilato a Obama proprio su questa proposta, nel Vecchio Continente sarebbe il caso di meditare ulteriormente prima di andare al traino di una politica economica che nasce già vecchia e sconfitta.

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23 febbraio 2009

Sì, "comprate italiano",
che intanto loro...

Lapo Elkann multato a Milano perchè ha lasciato l'auto in divieto di sosta per andare a fare shopping da Armani. Ma la notizia vera non è questa. Guardate nella foto di che auto si tratta. Ebbene sì, è proprio una tedesca Audi. Questa è la notizia. E il made in Italy? Ce l'hanno menata da anni con il made in Italy. Si sono autoproclamati de facto paladini dell'"italianità" (e il punto è che non era obbligatorio, potevano semplicemente continuare a puntare solo sul prodotto e non tentare di far leva sul tricolore... per far sentire in colpa chi acquista vetture straniere). Montezemolo se l'è presa con i nostri politici perchè girano proprio su berline tedesche, guarda caso proprio Audi, e non su vetture italiane, che poi guarda caso vuol dire solo Fiat. E adesso, bello bello, ecco Lapo che va a zonzo su un suv fiammante griffato Audi. La verità è che personalmente nemmeno mi stupisco più di tanto. Montezemolo qualche anno fa era stato beccato in giro in sella ad un'americana Harley (come dire, la difesa del made in Italy vale per le quattro, ma non per le due ruote, visto che Fiat di moto non ne fa...). La 500, come più volte ripetuto, sono andati a farla in Polonia. E persino per l'arredamento degli autosaloni la Fiat si è rivolta all'estero, alla svedese Ikea, con buona pace degli italianissimi mobilieri di Cantù. Così come per il merchandising, come svelato in uno storico servizio di Striscia, era venuta fuori roba fatta in Cina o Romania. Dunque, appunto, non mi stupisco più di tanto se Lapo Elkann se ne va in giro in Audi. Mi stupisco solo semmai che qualche dubbio non venga a tutti quelli convinti della necessità di nuovi aiuti pubblici al settore auto. Sono stato accusato da qualche lettore di questo blog di essere troppo critico nei confronti della Fiat e degli Agnelli. Beh, non so, non aggiungo commenti, riporto solo fatti, giudicate voi. Solo nella giornata odierna già due cose mi hanno colpito: ho visto questa storia dell'Audi di Lapo e, soprattutto, ho letto che il Cda di Fiat ha varato un nuovo piano di incentivazione per il management con qualche milionata di azioni da distribuire gratuitamente alla dirigenza del Lingotto. Non so, ripeto, giudicate voi...

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I "poveri" banchieri

Contro gli aiuti di Stato al settore auto mi sono già espresso più volte. Ora vorrei ribadire che pure peggio penso dei possibili interventi a favore di banche e banchieri, interventi che peraltro come già detto vengono in questo momento pensati senza vere e adeguate contropartite. Questo weekend al convegno Forex Alessandro Profumo ha confermato per Unicredit un obiettivo di utile netto 2008 intorno ai 4 miliardi di euro. Capito bene? Nonostante tutto Unicredit non è assolutamente in perdita. Anzi, macina utili ancora per ben 4 miliardi di euro. Una montagna di soldi. E allora perchè dobbiamo mandare giù l'idea di aiuti pubblici ad un settore bancario che ancora guadagna miliardi? Davvero, numeri alla mano, non se ne capisce il senso. Si dice che l'intervento è motivato dal fatto che le banche sono in crisi e che c'è bisogno che continuino a erogare finanziamenti alle imprese. Ma la verità è che i bilanci delle banche non sono assolutamente da crisi (il caso dei super utili di Unicredit è più che significativo) e che nessuna reale garanzia avremmo che, una volta intascati gli aiuti, i banchieri continuino effettivamente a finanziare il mondo produttivo come prima. Come nel caso del settore auto (dove si parla di difesa dei lavoratori e dell'indotto), la verità è che anche sul fronte delle banche si rischia solo di andare ad ingrassare i "soliti noti" con fondi pubblici. La finalità è il credito alle piccole e medie imprese? Bene, allora sarebbe meglio studiare il modo per darli direttamente alle aziende i soldi, magari tramite interventi di detassazione, invece che passare dalle solite banche. Ancora una volta mi chiedo: qual'è il vero scopo di tutto questo? Rilanciare davvero l'economia o dare soldi a centri di potere che possono sempre tornare utili?

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18 febbraio 2009

Aiuti di Stato all'auto:
la balla del "così fan tutti"

In Italia si pensa a dare le solite vagonate di soldi alla solita Fiat e chi prova (come nel suo piccolo anche il sottoscritto) a obiettare qualcosa si sente dire che "c'è la crisi" e che "in tutti i Paesi ci sono gli aiuti di Stato per i gruppi automobilistici". Insomma, "così fan tutti" e di conseguenza così dobbiamo fare pure noi. "Perchè gli altri sì e noi no": questo in sostanza sono corsi a dire Marchionne e Montezemolo per chiedere quegli aiuti che invece tante altre aziende in Italia semplicemente si possono scordare. La Fiat dice che bisogna fare come all'estero? Bene allora facciamo come in Svezia. Lì c'è la Saab, che è sì controllata da Gm ma che resta di fatto azienda svedese con impianti svedesi e soprattutto migliaia di lavoratori svedesi. Proprio per queste ragioni Gm ha invocato l'aiuto di Stato. E così ha risposto il ministro delle attività produttive Maud Olofsson: "Gli elettori mi hanno scelto perchè volevano asili nido e polizia, non perchè comprassimo fabbriche d'auto in perdita". E il ministro ha poi detto pure questo: "Vogliono scaricare la responsabilità sui contribuenti svedesi e questo è irresponsabile". Dunque, non è proprio vero che "così fan tutti". Mentre è vero che nel dibattito italiano come al solito si citano gli esempi che fanno più comodo. Personalmente continuo a dire no all'intervento pubblico in favore dei "soliti noti", soprattutto se poi salta fuori che c'è chi incassa gli aiuti in Italia ma va a produrre in Polonia (vedi la 500 di casa Fiat o le lavatrici della Indesit). Su tutto questo fronte, come ho già avuto modo di dire, la politica economica dell'attuale governo mi sta molto deludendo. Io voto per Olofsson ;-)

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La natura fa il suo corso

I "portali" sono stati il marchio distintivo di quella stagione che un decennio fa è stata etichettata alla voce "boom della new economy". Come noto, il problema è stato che, dopo gli incredibili eccessi della prima ora, impietosamente è arrivato lo "sboom". Che ha fatto tabula rasa di molte "dot.com" e di tanti ingenui sogni di gloria (c'è voluta appunto una "pausa" di anni perchè si potesse tornare a parlare seriamente di internet, sostanzialmente con il cosiddetto "2.0"). Di quella "era geologica" non tutto è stato spazzato via. Alcuni di quei "portali" sono rimasti in piedi. Ma, diciamoci la verità, in questi anni più che "vivere" hanno vivacchiato. Hanno tirato a campare, nell'incancellabile ricordo dell'età dell'oro. E il punto è che la selezione darwiniana continua. L'ultima "vittima" è infatti di questi giorni: ha chiuso i battenti Lycos. Il manipolo dei "survivors" si restringe ulteriormente. In un'epoca in cui ormai manco si usa più la parola "portale". Me lo chiedo da anni: chi è "rimasto" perchè non prova a cambiare radicalmente strategia?

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17 febbraio 2009

Telefonia in bella mostra


In questi giorni a Barcellona c'è il Mobile World Congress ovvero l'evento annuale più importante per il mondo della telefonia mobile grazie alle ultime novità del settore in bella mostra. A tutti quelli interessati alla cosa consiglio vivamente di leggere La Rassegna di Albert, blog che in Spagna ha un suo "inviato". Potenza dei mezzi (e delle conoscenze...) dell'amico Albert ;-)

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16 febbraio 2009

E' stato il Nebbiolo?


Impazza in rete il video del ministro nipponico Shoici Nakagawa al G7 di Roma. Filmato che involontariamente diventa una sorta di tragicomica metafora di questa crisi economica. Mentre il suo Paese, il Giappone appunto, entra ufficialmente in recessione, lui, il ministro dell'economia, in conferenza stampa sbiascica e sembra stia sveglio a fatica. A Tokyo è già scandalo. L'accusa: era ubriaco. Lui nega e parla di effetto di medicine, ma comunque ammette di aver bevuto qualche bicchiere al ricevimento. Essendo un grande amante del vino (quello buono!), mi sono subito chiesto: ma cosa si beve al G7? Così, giusto per soddisfare la mia curiosità, mi sono messo a cercare su internet. L'unico riferimento che ho trovato in questo senso parla di un buon Nebbiolo. Nel caso, non c'è che dire, ottima scelta (per la famiglia dei piemontesi Nebbiolo-Barbaresco-Barolo ho una vera passione...), capisco il povero Nakagawa ;-)

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12 febbraio 2009

Gli abbagli di Uolter e della blasonata italica stampa

"Obama scrive a Veltroni": questo il titolone di qualche giorno fa sui "grandi" giornali nostrani, Corriere della sera in primis. E, leggendo, te lo potevi quasi figurare il buon Barack che prende carta e penna per scrivere al suo "omologo" italiano. Leggendo il pezzo giustamente ti facevi l'idea di un rapporto diretto e privilegiato tra i due, di un feeling che genera uno scambio epistolare (la lettera di Obama arrivava in risposta di quella con cui Veltroni si complimentava per il suo insediamento alla Casa Bianca). Peccato solo che sui "grandi" giornali italiani, quelli che "informano" il Paese (e per questo prendono pure finanziamenti pubblici; tutti i giornali non solo quelli di partito), non c'era scritto, perchè evidentemente erano loro a non essere informati di questo, che la lettera partita dalla Casa Bianca con mittente Walter Veltroni conteneva semplicemente un testo standard inviato, esattamente uguale, tipo "copia e incolla" cambiando solo nome del destinatario e relativo indirizzo, a svariati uomini politici di svariate nazioni. Insomma, una semplice risposta "di cortesia" da spedire in automatico a tutti quelli che nel mondo avevano fatto le loro felicitazioni al neo-presidente. Una risposta che è arrivata così persino in Turkmenistan e a Trinidad e Tobago. Dove forse non ci sono stati subito pronti i pomposi titoloni del tipo "Mi ha scritto Obama". Ci voleva il bistrattato Giornale per scoprire tutto questo.

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11 febbraio 2009

Non convince

Quando ha vinto le elezioni Wall Street è crollata. Ora è stato presentato l'attesissimo piano della sua amministrazione per il rilancio dell'economia (quello firmato da Tim Geithner) e Wall Street è crollata. Non è che porta un po' sfiga? Facili battute a parte, il punto è che Obama non convince i mercati finanziari. Per carità, forse nel prossimo futuro riuscirà a farlo, ma per ora la diffidenza è evidente. E riuscire nell'operazione fiducia sui mercati è un passaggio obbligato se si vuole davvero cercare di arginare la crisi. Da Wall Street nel bene o nel male bisogna passarci. E a Wall Street le "belle parole", specialità di Obama, non bastano. Si guarda in modo disincantato al concreto. Si va al sodo, insomma. E forse proprio qui sta il problema. Nel piano presentato c'è parecchio fumo, ma forse troppo poco arrosto. Ci sono le "linee strategiche", ci sono meno i concreti punti di intervento. La campagna elettorale è finita da un pezzo, ora contano i fatti. Soprattutto in economia. Qui Obama la sua sfida deve ancora vincerla. Vedremo le prossime mosse e su quelle lo giudicheremo.

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10 febbraio 2009

Alla concessionaria del Sole parte il toto-successore...

Parliamo del mondo delle concessionarie pubblicitarie. I rumors da tempo in circolazione in questo senso sono dunque stati confermati: Fabio Vaccarono abbandona il timone della System del Sole 24 Ore per andare a guidare come direttore generale la Manzoni del gruppo Espresso-Repubblica. La domanda a questo punto che ovviamente si fanno gli addetti ai lavori è: chi prenderà il posto che Vaccarono lascia vacante al Sole? Il "toto-successore" è già partito. Le mie fonti dicono, peraltro non da ora ma già da un bel pezzo, che in "pole position" per la guida della 24 Ore System c'è un manager attualmente in forza al gruppo Rcs...

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A che gioco giochiamo?

Come noto quindici giorni fa l'ingegner De Benedetti convocando una apposita conferenza stampa, che ha avuto comprensibilmente grande eco sulla stampa, ha annunciato in pompa magna di lasciare tutte le presidenze delle società da lui fondate. Ora però il Sole ipotizza che a sole due settimane dal grande annuncio De Benedetti "starebbe meditando di tenersi stretta almeno una presidenza, quella del gruppo L'Espresso, rinunciando a nominare un presidente di garanzia". Insomma, già era venuto fuori che l'ingegnere si teneva comunque il potere di nomina dei direttori di tutte le testate del gruppo Espresso-Repubblica, e ora c'è pure questa ipotesi. Se quanto ha buttato lì il Sole dovesse trovare conferma nei fatti, se non sarà insomma smentito rivelandosi boutade senza fondamenta, beh allora la domanda, come si usa dire, sorgerebbe spontanea: a che gioco giochiamo?

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06 febbraio 2009

Incassano gli aiuti in Italia, vanno a produrre in Polonia

Emblematico direi il caso Indesit. Da una parte, causa crisi, il governo dà aiuti all'industria degli elettrodomestici con incentivi all'acquisto analogamente a come succede con la rottamazione auto. Dall'altra, sempre causa crisi, il gruppo della famiglia Merloni chiude impianti in Italia (vedi il caso, proprio di questi stessi giorni, dello stabilimento di None nel Torinese) per andare a concentrare la produzione di lavastoviglie nella nuova fabbrica di Radomsko in Polonia (stessa nazione dove, guarda caso, pure la Fiat, che chiede aiuti in nome della difesa dell’auto italiana, produce ad esempio la 500). Insomma, si aiutano imprese italiane che intanto se ne vanno a produrre all'estero. Ma allora davvero che senso ha tutto questo? Una delle ragioni (per la verità sempre più deboli) per cui si dice che dobbiamo mandare giù l'idea che si torni a dare soldi pubblici ai "soliti noti" è che indirettamente così si darebbe una mano ai tanti operai che i grandi gruppi industriali italiani hanno alle loro dipendenze. Ma qui non si parla più di forza lavoro italiana, si parla di operai polacchi. Le aziende italiane che producono in Polonia e che però intanto chiedono interventi di Stato non sarebbe più opportuno invitarle a presentare le loro richieste economiche a Varsavia piuttosto che a Roma? La verità è che si rischia di aiutare non le fasce deboli ma semplicemente i soliti grandi industriali, come gli Agnelli o i Merloni, che credo ce la facciano ancora ad arrivare alla fine del mese. E li aiutiamo pure, con soldi pubblici italiani, a portare magari le loro attività produttive fuori dall'Italia. Basterebbe almeno mettere qualche semplice vincolo in questo senso nei piani di intervento pubblico. Qualche semplice clausoletta. Sarebbe molto semplice. Sarebbe cosa di buon senso. Così, giusto per evitare almeno quel retrogusto che sa tanto di beffa...

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05 febbraio 2009

Ci mancava giusto
il "Buy American"...

Questo richiamarsi alle ricette del New Deal per affrontare la crisi economica (cosa che sta avvenendo non solo in America, ma anche in Europa) proprio come ai tempi di Roosevelt porterà, come effetto indotto, un pesante cocktail (terribile!) di protezionismi, nazionalismi, statalismi, populismi, moralismi e "bigottismi". La tendenza è già iniziata, è sotto gli occhi di tutti. Per carità, io non sono mai stato un fan del liberismo più "estremo", quello di fatto selvaggio, e ho sempre parlato in questo blog della necessità di regole di base, ma tra un libero mercato "regolato" (un mercato del "fair trade" più che del "free trade" senza alcun paletto) e un mercato strangolato e piegato sotto i colpi del neo-dirigismo di Stato c'è un abisso! Lo stesso che c'è tra una cultura liberale e questa sorta di strisciante neo-moralismo di Stato! Insomma, si rischia una orribile involuzione sia sotto lo stretto profilo della concezione del mercato sia, più in generale, sotto il profilo della cultura dominante, dell'"aria che tira". E il buon Obama, sorta di "benchmark" mondiale in questo momento, contribuisce ahimè in questo senso. Il suo "Buy American", che giustamente negli stessi Usa ha già fatto storcere il naso a molti, non può che far accapponare la pelle. Proprio perchè viene da quel Paese in cui nel bene e nel male si originano le tendenze globali. Obama dice che non vuole scatenare una guerra commerciale internazionale, ma ovviamente in sede di Unione Europea non la si pensa così. E, fatto molto significativo, non la pensa così nemmeno il Canada, vicino di casa degli Usa. Tira proprio una brutta aria. Negli States di Obama come nella vecchia Europa. Qualcuno potrebbe ovviamente dire: è il prezzo da pagare per uscire dalla crisi. E' davvero così? Si. Anzi, forse. Anzi, forse non è proprio così. Giusto per la cronaca, va ricordato che il giudizio storico sulle ricette economiche del New Deal è tutt'altro che univoco. Per molti economisti in realtà proprio la massiccia dose di protezionismo messa in campo in America (che poi appunto si accompagnò a neo-dirigismo e moralismo di Stato, ovvero gli ingredienti del cocktail di cui ho già parlato) finì in realtà con il frenare l'uscita dalla crisi iniziata nel '29. Oggi tutti sono partiti in quarta con questa storia del New Deal e del neo-statalismo "necessario" senza forse riflettere abbastanza sulle conseguenze che tutto questo rischia di avere. Insomma, gli effetti collaterali di una cura (di dubbia validità!) rischiano di fare malissimo al malato.

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03 febbraio 2009

Se la domanda (su Profumo) non piace a Tremonti...


No, caro Giulio, non si fa così. E' successo a Davos. Guardate il video qui sopra (trovato su YouTube). La domanda che ha scatenato il "caso" (il ministro se ne è andato di colpo lasciando l'intervistatore di stucco) era sui possibili aiuti governativi all'Unicredit di Alessandro Profumo. Forse Tremonti, che la scorsa primavera aveva indossato i panni del Robin Hood che combatteva il solito strapotere bancario (e per questo ci era piaciuto un sacco!), non è proprio, diciamo così, al massimo del buon umore nel dover ora invece fare la parte di quello che si prepara a mandare vagonate di soldi pubblici proprio a loro, ai soliti banchieri. Vabbè che ci sono le "ragioni" legate alla emergenza della crisi economica (ragioni che peraltro in questo blog come sapete più passa il tempo e più personalmente almeno in parte contesto, perchè la crisi sta diventando un comodo alibi per far passare anche misure altrimenti improponibili...), però effettivamente dalla crociata liberale contro gli abusi del sistema bancario ai maxi aiuti di Stato alle stesse banche il passo è parecchio lungo. Ci si "salva" solo se si riesce almeno a vincolare gli aiuti a precise contropartite da imporre ai grandi istituti di credito (esempio: garanzie in favore dei risparmiatori su tutta una serie di prodotti e servizi particolarmente sensibili e impegno al ricambio dei vertici manageriali), altrimenti davvero tutto appare molto difficile da giustificare, da far digerire a tutti quelli che (giustamente!) vedono nell'intervento a favore delle banche un boccone parecchio amaro da cacciare giù.

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