Il business dei titoli "tossici" (e presunti tali...)
Così come non mi ha mai convinto tutta questa urgenza nel dover correre a dare vagonate di soldi pubblici alle banche (che poi "a sorpresa" continuano comunque a presentare bilanci con utili faraonici, vedi caso Unicredit), allo stesso modo non mi convince tutto questo parlare di titoli "tossici" che richiedono un intervento urgente (in sostanza sempre denaro pubblico per ritirarli). Non che non creda che esista il problema. E' evidente che esiste e che proprio da lì è partita questa crisi globale. Quello che non mi convince è proprio la terminologia e soprattutto in che modo viene utilizzata. Mi spiego: che vuol dire "titoli tossici"? Tutto e niente. Con la stessa "faciloneria" con cui si è approciata la questione banche ora si parla di strumenti finanziari. E' facile dire "titoli tossici", bisognerebbe però dire cosa esattamente si intende per tossico. Bisognerebbe cominciare a dare parametri precisi. Perchè altrimenti ci viene il sospetto che si voglia restare sul vago per far comprare con fondi pubblici anche roba che altrimenti rimarrebbe lì dove è (senza magari a questo punto fare grossi danni). Insomma, c'è qualcuno che prova a marciarci cercando di "svuotare il magazzino" a spese del sistema pubblico? I "titoli tossici" (anche quelli presunti tali...) rischiano di diventare un business come la cronaca ci ha raccontato a volte per le scorie radioattive delle centrali atomiche? E, nel caso, chi se li farebbe "rottamare" questi titoli? Le banche. E, già, sempre loro, le banche. Aiuti di Stato da una parte, ritiro retribuito dei titoli tossici dall'altra. Questo in entrata, mentre in uscita resta nonostante tutto, nonostante gli aiuti dovrebbero servire proprio a sbloccare il credito bancario, la stretta dei finanziamenti alle imprese. Tutto ha sempre più semplicemente il sapore di una grande beffa.
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