05 febbraio 2009

Ci mancava giusto
il "Buy American"...

Questo richiamarsi alle ricette del New Deal per affrontare la crisi economica (cosa che sta avvenendo non solo in America, ma anche in Europa) proprio come ai tempi di Roosevelt porterà, come effetto indotto, un pesante cocktail (terribile!) di protezionismi, nazionalismi, statalismi, populismi, moralismi e "bigottismi". La tendenza è già iniziata, è sotto gli occhi di tutti. Per carità, io non sono mai stato un fan del liberismo più "estremo", quello di fatto selvaggio, e ho sempre parlato in questo blog della necessità di regole di base, ma tra un libero mercato "regolato" (un mercato del "fair trade" più che del "free trade" senza alcun paletto) e un mercato strangolato e piegato sotto i colpi del neo-dirigismo di Stato c'è un abisso! Lo stesso che c'è tra una cultura liberale e questa sorta di strisciante neo-moralismo di Stato! Insomma, si rischia una orribile involuzione sia sotto lo stretto profilo della concezione del mercato sia, più in generale, sotto il profilo della cultura dominante, dell'"aria che tira". E il buon Obama, sorta di "benchmark" mondiale in questo momento, contribuisce ahimè in questo senso. Il suo "Buy American", che giustamente negli stessi Usa ha già fatto storcere il naso a molti, non può che far accapponare la pelle. Proprio perchè viene da quel Paese in cui nel bene e nel male si originano le tendenze globali. Obama dice che non vuole scatenare una guerra commerciale internazionale, ma ovviamente in sede di Unione Europea non la si pensa così. E, fatto molto significativo, non la pensa così nemmeno il Canada, vicino di casa degli Usa. Tira proprio una brutta aria. Negli States di Obama come nella vecchia Europa. Qualcuno potrebbe ovviamente dire: è il prezzo da pagare per uscire dalla crisi. E' davvero così? Si. Anzi, forse. Anzi, forse non è proprio così. Giusto per la cronaca, va ricordato che il giudizio storico sulle ricette economiche del New Deal è tutt'altro che univoco. Per molti economisti in realtà proprio la massiccia dose di protezionismo messa in campo in America (che poi appunto si accompagnò a neo-dirigismo e moralismo di Stato, ovvero gli ingredienti del cocktail di cui ho già parlato) finì in realtà con il frenare l'uscita dalla crisi iniziata nel '29. Oggi tutti sono partiti in quarta con questa storia del New Deal e del neo-statalismo "necessario" senza forse riflettere abbastanza sulle conseguenze che tutto questo rischia di avere. Insomma, gli effetti collaterali di una cura (di dubbia validità!) rischiano di fare malissimo al malato.

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7 Commenti:

Blogger Isa ha detto...

In linea di principio sono d'accordo. Ma purtroppo in questi tempi difficili, senza un intervento dello Stato, rischiano di pagare i più deboli. Certo, il "buy american" è un segnale di chiusura, naturale ma sbagliato in quanto espressione di protezionismo. Ma in questo clima da "si salvi chi può" viene spontaneo capirlo se non giustificarlo. Se dovessi cambiare macchina oggi comprerei Fiat. E comunque, per quello che mi è possibile, scelgo italiano. E' controproducente? Forse. D'altra parte, sarò antiquata, ma sugli aiuti a Fiat non mi sento di dare una bocciatura. E' vero che la piccola azienda chiude e stop e Fiat invece viene sempre salvata. Ma a quante piccole aziende dà lavoro proprio Fiat? Insomma, credo che in tempi così difficili i discorsi di principio vadano sempre confrontati con la dura realtà. E adeguati di conseguenza.

11:53 AM  
Blogger Steve Trader (Fuorimercato) ha detto...

"Comprare italiano", "comprare Fiat"? Occhio però Isa a scegliere bene il modello... la 500 ad esempio (come ho avuto modo di ricordare più volte qui sul blog) è fatta (interamente) in Polonia... Insomma, tu "compri italiano" da una azienda che però "vende polacco" ;-)))

Steve

12:16 PM  
Blogger Isa ha detto...

Preciso: ho cominciato il commento dicendo che in linea di principio sono d'accordo. E' vero che la Fiat sfrutta, intasca gli utili, socializza le perdite ecc. ecc. Come fanno più o meno tutte le grandi aziende. Ma le "briciole" arrivano anche (per lo meno) agli operai e a chi lavora per la Fiat. E quindi se la Fiat funziona, loro stanno un po' meno peggio. D'altra parte, se ci saranno tagli, sofferenze, e se (periodo ipotetico dell'impossi bilità) si chiudesse, non saranno certo gli Agnelli a pagare. E' questo che mi fa paura....

12:29 PM  
Blogger LL ha detto...

col massimo rispetto ti chiedo:

che male può fare all'economia occidentale se l'america diventa un pochino meno un pochino più autarchica?

io onestamente vorrei un'italia che non compri il latte inglese e butti via il nostro

che non compri li vino cileno e faccia del nostro una porcheria da spendere poco

che la fiat produca in italia non in polonia e turchia

e via discorrendo.

onestamente non capisco che male ci faremmo.
faremmo male alla cina, all'india, all'est europa.
quelli che consumiamo siamo noi, gli altri purtroppo fanno la fame, se consumassimo quello che produciamo gli altri purtroppo continuerebbero a fare la fame, la differenza è che staremmo un pochino meglio noi e sarebbero fottuti quelli che in questi anni hanno fatto soldi a palate in pratica sfruttando gli altri.

5:01 PM  
Blogger Steve Trader (Fuorimercato) ha detto...

Ciao Luca,

il danno per l'economia occidentale sarebbe evidentemente rappresentato dal contraccolpo sul nostro export verso gli Usa. e infatti sia Europa che Canada, come detto, hanno già espresso posizione contraria.

Sul resto sono d'accordo con te nel senso che anche io vorrei che da noi vincessero i nostri prodotti, ma - e qui sta il punto! - non perchè lo Stato li impone in qualche modo, ma perchè risultano migliori.

Lo Stato a mio avviso deve mettere regole di base alla competizione e poi semmai bloccare i prodotti che queste regole minime non le rispettano (come spesso con i prodotti cinesi), ma poi non deve secondo me forzare la competizione, non deve "imporre" un prodotto o l'altro.

Giustamente parli di qualità. E' proprio quando un prodotto viene "imposto" in qualche modo, quando ottiene protezione, che alla fine la qualità si abbassa.

Stessa cosa per i consumatori. Vorrei che gli italiani comprassero italiano perchè un prodotto italiano lo riconoscono migliore, non per "dovere nazionalista".

Parliamo di vini, visto che è passione comune ;-)))): io compro un italianissimo barolo perchè lo giudico superiore a tanti blasonati vini francesi, o idem con un prosecco di valdobbiadene. Se invece mi trovo davanti un vino italiano che fa schifo e un modesto cabernet californiano è meglio, allora mi prendo il californiano. Questo spinge tutti a fare meglio. Le protezioni ecessive invece portano l'abbasamento della qualità.

Così almeno la vedo io...

Ciao Steve


P.S.:

Il tuo pigato non ha bisogno di un "buy italian" perchè è buono di suo ;-))))))))

10:09 AM  
Blogger LL ha detto...

ok, mettiamola in vino tenendo comq presente che lo stesso identico discorso si potrebbe fare su molti alti prodotti.

dici una cosa all'apparenza giustissima:
+ concorrenza
=
+ qualità
=
prezzi inferiori

è una legge di mercato teoricamente incontestabile però andiamo nel concreto, domando:

questa concorrenza ha portato anche che il vino venduto nella stessa confezione utilizzata per il succo d'arancia può costare meno, (un 15/20% in meno) del succo d'arancia, questa è qualità?
da notare che le aziende che vendono il vino nel cartone a prezzi da succo di frutta mettono in commercio quantità immense di prodotto, investono in pubblicità e conquistano quote importanti di mercato.

siamo sicuri che un vino cileno, australiano, californiano venga scelto dai cittadini sempre e solo per la sua qualità e non per il fatto che "fa figo", nelle menti di molti, servire un vino di un altro continente o di un altro paese?
forse tu con le tue conoscenze non rappresenti piuttosto l'eccezione? tu rappresenti la nicchia o la massa? chiaro, qualche azienda di nicchia ci sta ma la quota di mercato è stretta, ben definita dunque poche aziende possono puntare sulla nicchia, le più tante devono puntare sulla massa non credi?

se ci sono due produttori che hanno le stesse conoscenze tecniche, uno che fa il vino con amore, con passione e l'altro che lo fa solo per soldi, quale dei due vini alla fine risulterà migliore?

ecco io sinceramente credo sia questo il punto,
non è tanto importante il numero dei soggetti che sono sul mercato
quanto piuttosto l'approccio mentale, emotivo che caratterizza i produttori.

su questo andrei ad investire, non tanto su un pseudo libero mercato che porta alle assurdità di cui sopra piuttosto su un cambiamento della cultura.
gli imprenditori e gli operai dovrebbero essere educati a lavorare con amore, questa è la prima cosa.
poi chiaro, i soldi servono e hanno la loro importanza ma attenzione: non deve essere la cosa più importante!

faccio un esempio, pensa agli artisti che hanno fatto la storia, il risorgimento, quasi sempre erano degli squattrinati, venivamo pagati poco e con tempistiche indegne ma per loro questa non era la cosa più importante. per loro era importante creare, emozionare con le loro opere e se i soldi non c'erano pazienza.
in quel contesto allora sì che la concorrenza era stimolante, che si cresceva. non in questo mondo qua. oggi non mi pare si cresca in qualità e se pensi ai vini in cartone o alla produzione industriale cinese, tanto per ampliare su larga scala il discorso, ne hai la prova del nove.

12:49 PM  
Blogger Steve Trader (Fuorimercato) ha detto...

per Luca:

Hai ragione su molte cose, soprattutto sul tema dell'educazione del consumatore (per cui in Italia restiamo mostruosamente indietro).

Hai ragione sulle storture che il mercato può portare. Però su un punto resto in disaccordo: non credo che passare al protezionismo possa risolvere queste storture, semmai a mio avviso le può solo peggiorare. Nelle economie super protette la qualità è sempre (sempre!) andata in pezzi. Pensa a cosa è successo nei Paesi del socialismo reale o a Cuba...

Detto questo, il mercato "puro" non risolve i problemi. Ci vogliono regole. Come ho già detto, più "fair trade" che "free trade" puro.

Ciao,

Steve

2:02 PM  

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