02 settembre 2008

Alitalia docet

Torno online un po' in ritardo rispetto a quanto avevo previsto per colpa di alcuni acciacchi fisici (con cui sono ancora ahimè alle prese e che spero si possano risolvere al meglio). D'obbligo, direi, ripartire dal tema del momento: Alitalia. Bisogna riconoscere che tutti quelli (e mi ci metto anche io...) che avevano ironizzato sulla fantomatica cordata anticipata qualche mese fa da Berlusconi sono stati presi in contropiede: la cordata è saltata fuori davvero. Si può discutere sui contenuti del progetto e su tutto quello che si vuole, ma la cordata c'è. Altra "mandrakata" del "mago di Arcore" dopo la sparizione della monnezza da Napoli. Insomma, bel colpo, va riconosciuto appunto. E ha colpito sicuramente che tra i protagonisti del nuovo piano che nasce sotto il segno del governo berlusconiano ci siano Banca Intesa e Roberto Colaninno. Intesa è storicamente la banca "ulivista". E Roberto Colaninno è quello che scalò Telecom Italia con la "benedizione" dell'allora Presidente del Consiglio Massimo D'Alema (quando, come disse poi Guido Rossi, Palazzo Chigi sembrava "una merchant bank in cui non si parla inglese") e il cui figlio, Matteo Colaninno, è oggi schierato nel Partito Democratico. Per una certa sinistra, come ha già scritto il Corriere, tutto ciò crea una sorta di "sindrome da tradimento". Io trovo invece tutto questo estremamente divertente e soprattutto educativo. Già, proprio così, educativo. Per quella certa sinistra. Se la vicenda della Unipol di Consorte dovrebbe aver già insegnato loro che banchieri e finanzieri tendono ad avere certi vizietti sia a destra che a sinistra (non è che quelli vicino alla destra sono sempre e comunque dei malefici faccendieri mentre quelli che strizzano l'occhio alla sinistra sono automaticamente immacolati), ora il caso Alitalia, con Banca Intesa e Roberto Colaninno che non si fanno (legittimamente!) alcun problema nell'inserirsi nel disegno di stampo berlusconiano, dovrebbe finalmente insegnare loro una regola ancor più generale: gli affari sono affari, business is business. Non ci sono in modo marmoreo (tipo bandierine sul tavolo del Risiko) "i nostri" e "i loro" tra imprenditori e banchieri. Le logiche del denaro e degli interessi economici portano necessariamente anche alla trasversalità. Ed è un bene che sia così. Altrimenti la politica controllerebbe col guinzaglio stretto pure l'economia. Come nella storia si è abituata a fare con i sindacati (secondo la famosa teoria della cinghia di trasmissione). La realtà è sempre un po' più complessa di come taluni la vogliono dipingere. Di come in fondo la vorrebbero. E non è mai troppo tardi per impararlo...

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